sabato 26 febbraio 2011

due

La parte uno è qui.


Fu così che conobbi Mousse e, lo ammetto, la mia ammirazione era già stata stimolata dal primo incontro con la delicatezza sfrontata con cui un Adamo avventura le sue dita per la prima volta verso il frutto originario della sua Eva.

«La squadra è già fatta, Kant – iniziò a interrompermi Tony – e poi tu vieni qui come se non sapessi che non dipende davvero da me». «Che storie mi racconti, Mister. Ti fanno allenatore e non decidi tu chi arriva in divisa e chi in tuta? A ‘sto punto accettavo l’offerta del Milan». «A piegare gli asciugamani» valutò col ghigno da Vecchio. «Che ironia, Mister. – ingoiai l’amarezza con un fruscio in gola – Ma me lo spieghi per filo e per segno perché al Dieci non deve stare uno che sa giocare? O quello buono ti piace così tanto che te lo vuoi tenere seduto accanto?». «Senti, nemmeno tu sei sicuro che ti metta lì in mezzo. A me m’importa ‘na sega se tu e Mousse siete diventate amiche del cuore, ma se proprio insisti ti ci faccio sedere in braccio».

martedì 22 febbraio 2011

uno

Aveva un malessere cinereo che gli storpiava gli occhi e un sapere nel piede sinistro. Lo vidi per la prima volta, quel piede, darsi da fare pigramente, discreto ma fiero di sé. L’incarnato di una conoscenza primordiale. Io, nei piedi, non sapevo niente. Umili strumenti della testa, quella sapeva. Ma quando non riesci a prendere il sopravvento sugli strumenti, hai un bel dire a mostrare a tutti che la testa sa. Quanto agli occhi, stavo immobile a fissarli mentre ciascuno asciugava i propri capelli allo specchio degli spogliatoi. Vedevo la testa che pareva mossa dai lunghi ricci lì intorno e quegli occhi riflessi, funerei e come senza uno sguardo. «Come Perseo» mi misi a paragonare. «E io sarei la Medusa?» comprese con la stessa sveltezza con cui mi aveva fatto passare la palla tra le gambe un battito prima di segnare il due a zero. Ne fui ugualmente sorpreso, e per via della stessa presunzione.