giovedì 3 marzo 2011

tre

La fermo e già la muovo. Con l’esterno, sciolgo il suo tracciante e ne cambio il destino, direzione destra, la gamba l’ha sentita docile senza bisogno di chiedere all’occhio di controllare, allora lei s’è già alzata all’indietro mentre quello fissa la posizione, trenta metri più avanti, c’è il Milite che sgomita e la vuole sul sinistro, ma l’orso che lo cintura mi aspetta al varco, un lampo d’occhi e già cerco Svizzera, dannazione a lui se venisse incontro una volta, corre dritto verso la lunetta. Ora se non calcio ho perso il tempo, calo la mannaia con poca fiducia e scelgo di usarla come un rasoio. Ho avuto l’impressione in quel fugace attimo che l’orso l’aspetti tesa per anticiparla e abbia già messo un piede avanti, spero di farla galleggiare in aria senza peso sopra la sua testa e appoggiare come piuma davanti al Milite, a sinistra. Ed eccola che va. Sul piede l’ho sentita, rassicurante e sincera. Spero non presuntuosa. Sale e sta su, sfida la gravità il tempo che sarebbe adatto ad un fotografo per scattare, poi la asseconda, e ora viene decisa. Giù, morbida come si deve, il testone dell’orso non può più. Il Milite ha capito, ci crede anche se è lento, allunga i passi sull’erba e poi all’improvviso cambia idea e li accorcia, cerca la coordinazione, ha capito che non c’è spazio per un controllo. La porta non la guarda, si prova a sentirla con l’istinto, tipico del Nove fenomeno, o di quello che si sopravvaluta. Nella mia testa tutto è già compiuto, e sbaglio raramente, anche meno spesso sono disposto a stupirmi. Purtroppo. Eccolo che uno, due, allunga la sinistra con impeto e preghiera. Cercava il collo, ha trovato solo le dita, impenna e va alta, di là dalla traversa, limite che decide di questo breve sogno. «Bella ma lunga». Fanculo, Milite. Anzi, fanculo a Svizzera. Eccolo che sbraita come una vecchia zitella.

«Anche peggio del solito, oggi» mi sentii confidare alle spalle, mentre toglievo la scarpa destra. «Ci mandano al massacro, Garda» imprecai confermando che la vescica sotto l’alluce si stava infettando. «Sei sempre il solito disfattista, non voglio sentirti più». «Prima di tutto io non ti ho chiesto niente, in secondo luogo sei tu che resterai un inguaribile ottimista anche quando ti verrà l’ernia a furia di raccattare palloni nel sacco, e tre ti chiedo scusa, non ce l’ho con te». «Che dobbiamo fare, prof?» fece come sempre lui. «Ritirarci ognuno sulla sua spiaggia, infradito-mojito-briscolachiamata? Non vedo altre soluzioni». Fece come se non avesse sentito: «Il riccio come ti sembra? Bel mancino, mh?». Eccomi contemplativo: «Prelibatezze come quella che ti ha infilato sotto l’incrocio oggi gli valgono il nome di Mousse, d’altro canto ti ha anche piegato le mani tre minuti dopo con la delicatezza di un obice». «Capito. Stravedi» chiuse Garda. Ma già riaprivo polemico: «Forse. Ma tanto Tony non lo vuole. Avanti con l’inoffensiva Svizzera». «‘stia se si è incazzato, oggi» scherzò, ma sul serio. «Per me può baciarmele, se si muove a culo la palla da me non la vede» feci girandomi per infilarmi in doccia e di colpo: «Hai proprio deciso di affondarmi, Kant?» avevo Little Tony davanti.

La faccia scavata, la sigaretta piantata come una bandiera nel crepaccio della bocca. «Mister, mica vorrai costringermi a litigare con qualcuno qui in spogliatoio» provai a ribattere mentre fissavo il crepaccio, vittima di continui smottamenti per via della gomma che masticava. «Se in questo torneo non fai le fiamme, hai perso l’ultimo treno, lo sai?» cambio di tono improvviso, nervoso il Tony. «L’ultimo treno ha lasciato la stazione da parecchio, se mai c’è passato. Comunque giocare così, meglio un corso di uncinetto» chiarii, e sentivo già, dietro di lui: «Se sei svelto come in campo, finirai un sottobicchiere in un anno». Ma per rispondere alla simpatia Svizzera non mi serviva tempo: «Media comunque superiore a quella dei tuoi assist, no?» prendendo le mie quattro cose e andando a lavarmi nello spogliatoio accanto, da solo.

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